Educazione ai sentimenti, alla relazione, all’affettività, alla sessualità, alla differenza…possiamo elencarne ancora molte, ma a me piace riassumerle in un’unica espressione: educazione al rispetto.
Perché credo che tutto ciò che ogni anno ci troviamo, purtroppo, a commentare in occasione della giornata contro la violenza sulle donne, sia il risultato di una mancata o carente educazione al rispetto. E bisogna cominciare a realizzarla da subito, con i bambini più piccoli, perché il contesto sociale e culturale in cui viviamo è ancora troppo intriso di stereotipi, pregiudizi e sessismi, e il lavoro da fare è ancora lungo, sia nell’educare i giovani maschi che le giovani femmine.
Parto dall’ultimo episodio riportato su tutti i media: quello della giovane insegnante di scuola materna che è stata licenziata dopo che il suo ragazzo ha diffuso un video erotico diretto solo a lui. Perché in una simile situazione la colpevole è diventata lei? Perché, dopo che la sua fiducia nel partner è stata tradita, ha dovuto scontrarsi con il giudizio e la stigmatizzazione anche da parte del mondo femminile? Davvero una persona non è in grado di svolgere la propria professione perché nel privato gioca seduttivamente con il proprio compagno? Non è decisamente più riprovevole chi diffonde qualcosa di privato e intimo? E parliamo del partner in questione, ma anche della mamma che, trovato il video sul cellulare del marito, lo ha condiviso nella chat delle mamme della scuola, gridando allo scandalo. Cosa che ha provocato poi il licenziamento della giovane da parte della dirigente.
Un consistente intervento femminile ad accusare e discriminare una donna.
Bisogna davvero partire da lontano, se il problema non è più solo quello degli uomini che considerano la donna un oggetto di possesso, ma anche quello delle donne che non riescono a costruire alleanza e solidarietà tra loro.
Perché spesso siamo noi donne a pensare (e dire): “in fondo se l’è cercata”. Perché era vestita in un qualche modo, o era fuori in piena notte, o era andata ad una festa (perché se sogni di fare la modella e cerchi un contatto per lavorare è normale che ti droghino e ti facciano violenza?) E a volte con questo nostro pensiero non facciamo altro che rinforzare una cultura maschilista ed una visione della donna comunque subalterna, che deve chiedere sempre permesso e scusarsi.
Quindi partiamo dall’inizio. Cominciamo ad inserire l’educazione ai sentimenti già dalla scuola materna, cresciamo dei bambini rispettosi gli uni degli altri, bambini che non si vergognino di cullare una bambola, bambine che siano libere di giocare con le macchinine. Bambini che non si sentano etichettare come “femminucce” perché piangono o si commuovono. Da quando la sensibilità è un problema?
E gradualmente inseriamo nei programmi scolastici l’educazione all’affettività, alla relazione, alla sessualità, senza fermarci ogni volta che un gruppetto di genitori scende in piazza paventando il lavaggio del cervello dei propri figli. Sono poi gli stessi genitori che non affrontano mai certi temi con loro, perché imbarazzati o timorosi di suscitare curiosità morbose. C’è da precisare che in ogni caso i figli non parlano così volentieri di certi argomenti con i propri genitori. Ma se sentono che da parte loro c’è apertura e disponibilità, vivono più serenamente anche la possibilità di fare domande o rivolgersi ad altre figure adulte di riferimento.
Ciò che conta è che in famiglia come a scuola o in altri contesti sociali passino sempre dei messaggi di rispetto per l’altro sesso. E sappiamo che il modo migliore di trasmettere valori è l’esempio: vedere il papà e la mamma collaborare nella gestione familiare, non pesare in modo diverso il lavoro fuori casa e quello in casa, utilizzare un linguaggio corretto anche durante una discussione, senza ricorrere alla violenza verbale, evitare di esprimere apprezzamenti per l’altro/a con termini volgari, non denigrare o umiliare.
Ma insegniamo soprattutto ai ragazzi il valore dell’intimità e del privato. In una realtà “social” come è quella in cui vivono, ricordiamo che non tutto va condiviso con tutti, che alcune cose sono solo nostre e delle nostre relazioni, e che se queste relazioni finiscono, anche male magari, non siamo per questo autorizzati a diffonderle con il solo scopo di fare del male. Ma perché questo sia compreso, il lavoro, come dicevo, va fatto a monte, sulle emozioni, sulla capacità di riconoscere le proprie e quindi quelle altrui, sviluppando empatia, comprendendo cosa ci può fare male e può dunque fare male ad altri.
Insegniamo ai nostri figli maschi a non rinforzare certi atteggiamenti da “macho”, né a inseguirli come modelli di comportamento attraenti e seduttivi, e alle nostre figlie femmine a non accettare limitazioni ai propri sogni e alla propria libertà come prove d’amore.
Ma sosteniamo anche l’idea che la seduzione e il gioco sono leciti, a patto che siano una scelta libera, in una relazione alla pari, e che un NO, al di là di qualsiasi motivazione, è sempre e comunque un NO.
Natalia Sorrentino, psicologa e psicoterapeuta