Cara dottoressa,
come si recupera l’equilibrio perduto?
Da quasi due settimane sono diventata l’ancora a cui la mia vicina si aggrappa quotidianamente per non affogare nel buio dei suoi incubi. E da sette giorni sono il telefono amico di un mio collega che penso abbia sperimentato, in perfetta solitudine, il suo primo attacco di ansia. O panico.
Leggo sui giornali i commenti di psicologi e sociologi che ci spiegano come questo virus scuoterà le persone più fragili o già in equilibrio precario. Fino a due settimane fa era una possibilità, ora la vivo nella mia giornata e non so cosa fare.
Quando suona il campanello vorrei trovare una buona scusa per sottrarmi ai deliri ossessivi di una persona che si trova a vivere con un marito che non la considera più da anni e una figlia concentrata solo sulla sua nuova famiglia. Entrambi distanti anni luce da lei. Mi racconta i pensieri ossessivi che macina notte e giorno per sconfiggere le macchinazioni che suo marito sta tramando contro di lei attraverso il suo cellulare per guadagnare in modo illecito e mandare lei in prigione. E penso che in prigione lei ci sia già.
Il telefono invece l’ho gestito io, ho imposto una telefonata al giorno al mio collega che mi aggiorna se la febbre e’ salita a 36,5 invece che a 36,2, comprensiva, perché “mettiti nei miei panni, sono da solo. La prima settimana a casa e’ andata abbastanza bene, la seconda insomma, la terza sto andando fuori di testa.”
Non sono una psicologa, purtroppo mi viene da dire. La mia vicina non ha risorse, ne’ economiche ne’ personali in questo momento per chiedere aiuto, il mio collega nega di averne bisogno, gli serve solo una visita con un virologo che gli spieghi come mai ha attacchi di tremori, sudorazione e tachicardia. Cosa posso fare per loro senza perdere anche io l’equilibrio? La prego, mi dia indicazioni pratiche, comincio ad averne bisogno.
Grazie mille, Angela
Quando si dice “un nome un destino” cara Angela: lei è diventata l’angelo custode della sua vicina e del suo collega.
Due situazioni di complessa gestione, lo riconosco. Dare indicazioni pratiche in questi casi non è mai semplice, ma possiamo provare a trovare qualche strategia di sopravvivenza in questa quotidianità alterata.
Lei parla di una vicina in prigione, e così davvero sembra: prigioniera di una casa in cui sente il peso della solitudine relazionale, e prigioniera dei suoi pensieri ossessivi. Purtroppo non è semplice distogliere una persona da ruminazioni che viaggiano a senso unico. Dietro questa situazione si percepisce un malessere profondo, che andrebbe preso in carico da un professionista, ma in questo momento c’è “solo” lei, che sta già facendo molto, offrendo ascolto e comprensione. In più potrebbe offrirle rassicurazione che nulla di grave accadrà e proporle anche una diversa prospettiva, senza però insistere perché cambi la sua convinzione, che per quanto assurda possa sembrare, è per lei una realtà. Le suggerisca inoltre di impegnarsi in qualche attività piacevole, un giardino o un balcone da curare per esempio, complici le belle giornate. E infine, di tanto in tanto, senza sensi di colpa, si sottragga alle sue richieste.
Per quanto riguarda il suo collega, credo che lei abbia già trovato la strategia migliore per “contenerlo”: una telefonata al giorno, gestita da lei stessa. Questa sorta di “prescrizione” lo costringe a controllarsi e controllare le sue reazioni ansiose in attesa della telefonata, che diventa momento rassicurante della giornata. Gli confermi che è normale provare ansia in questa situazione, che tutti possiamo avere paura ed essere preoccupati. Questo lo farà sentire meno solo, e purtroppo sappiamo quanto la solitudine faccia acuire malesseri e sensazioni spiacevoli. Inviti anche lui a svolgere qualche attività piacevole, a fissare dei momenti nella giornata da dedicare ad attività soprattutto pratiche (piccoli lavori in casa, ginnastica), che aiutano ad allontanare i pensieri negativi. E magari a scrivere come si sente e cosa prova. La scrittura ha un effetto terapeutico. Vedere fissati su carta le proprie sensazioni e i propri pensieri spesso aiuta anche a ridimensionarli.
E naturalmente curi innanzitutto il proprio equilibrio: quando sente il sovraccarico, chiuda pure tutte le comunicazioni, nessuno potrà volergliene. Possiamo essere d’aiuto solo se stiamo bene e siamo lucidi, viceversa, rischiamo di essere trascinati nel vortice delle ansie e preoccupazioni altrui. A quel punto la nostra disponibilità non è più utile, ristabilire le distanze sì.
Natalia Sorrentino, psicologa e psicoterapeuta
Se vuoi scrivere alla psicologa : psicologia@alinsiemecoop.org